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Giurisprudenza italiana

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Cass. civ. Sez. I, Sent., 21/06/2013, n. 15679

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella - Presidente -

Dott. PICCININNI Carlo - Consigliere -

Dott. CAMPANILE Pietro - rel. Consigliere -

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria - Consigliere -

Dott. DE CHIARA Carlo - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso n. 25959 dell'anno 2011 proposto da:

MINISTERO DELL'INTERNO in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, via dei Portoghesi 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che per legge lo rappresenta e difende;

- ricorrente -

contro

S.S.;

- intimato -

avverso la sentenza della Cote di appello di Torino n. 500, depositata in data 6 aprile 2011;

sentita la relazione all'udienza del 6 marzo 2013 del consigliere Dott. Pietro Campanile;

udite le richieste del Procuratore Generale, in persona del sostituto Dott. Costantino Fucci, il quale ha concluso per l'accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 3 novembre 2008 il Tribunale di Torino rigettava la domanda con la quale il sig. S.S., premesso di essere nato in Macedonia, di vivere in Italia da trent'anni e di non essere - come risultava da un attestato rilasciato dall'Ambasciata di Macedonia nel gennaio del 2005 - cittadino macedone, aveva chiesto - con atto di citazione notificato il 2 settembre 2005 - il riconoscimento del proprio stato di apolide. Il rigetto era giustificato con il riferimento alla possibilità, per l'attore, di regolare la propria posizione di cittadino nello Stato in cui era nato, della quale non risultava aver usufruito: in particolare, si osservava che lo S. non aveva dimostrato di aver invano presentato richiesta in Macedonia per il riconoscimento della propria cittadinanza.

La Corte di appello di Torino, con la sentenza indicata in epigrafe, in accoglimento del gravame proposto dallo S., lo dichiarava in possesso dello stato di apolide.

Si osservava che l'appellante, nato in territorio macedone, avrebbe avuto diritto, in base alla legislazione vigente in tale Stato, ad ottenere il riconoscimento della propria cittadinanza: essendo stato, tuttavia, dimostrato che egli non veniva ritenuto cittadino dalle autorità macedoni, era venuto a trovarsi nella posizione di chi abbia perso la cittadinanza originaria e non abbia acquistato quella dello Stato di residenza.

In particolare, veniva rilevato che il Consolato generale della Macedonia di Venezia aveva comunicato in data 28 agosto 2010 che lo S. non era cittadino macedone. Si osservava che, avuto riguardo alla necessità di regolarizzare il possesso della cittadinanza in capo ai soggetti che erano nati nel territorio dello Stato di Macedonia formatosi a seguito della disgregazione della Repubblica Federale di Jugoslavia, tale regolarizzazione non era ipotizzabile in relazione alla posizione dell'appellante, il quale non era in possesso del requisito (richiesto dalla L. macedone del 13 novembre 1992, art. 26, u.c.), della residenza da almeno quindici anni nello Stato di Macedonia.

Per la cassazione di tale decisione il Ministero dell'Interno propone ricorso, affidato a due motivi.

L'intimato non svolge attività difensiva.

Motivi della decisione

Con il primo motivo si denuncia violazione dell'art. 8 della legge sulla cittadinanza della Repubblica di Macedonia del 13 novembre 1992, la quale all'art. 7, prevede, ai fini dell'ottenimento della cittadinanza, il requisito della residenza nel territorio per almeno quindici anni esclusivamente per i cittadini stranieri, non già per colui il quale, come lo S., sia nato nel territorio della Repubblica Macedone. Infatti l'art. 8 della medesima legge prevede che "l'emigrato della Repubblica di Macedonia, così come un suo discendente di prima generazione, acquista la cittadinanza della Repubblica di Macedonia per naturalizzazione, anche senza soddisfare le condizioni di cui all'art. 7, comma 1, punti 2 e 8 della presente legge".

Con il secondo motivo si deduce violazione dell'art. 1, comma 1 della Convenzione di New York del 28 settembre 1954, ratificata dalla L. 1 febbraio 1962, n. 306 , nel senso che per apolide deve intendersi soltanto chi sia privo di cittadinanza, non potendola ottenere in alcun Stato: in tale condizione non verserebbe colui che, pur potendola ottenere in base alla legislazione del Paese di origine, non si sia attivato per ottenere la cittadinanza.

Entrambi i motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto intimamente connessi, sono fondati.

Vale bene premettere che il vizio di violazione di legge, previsto dall'art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3, è deducibile, nell'ambito della funzione di nomofilachia istituzionalmente demandata a questa Corte, anche quando venga in considerazione, in virtù di specifiche disposizioni normative o della volontà delle parti, l'interpretazione e l'applicazione della legge straniera (Cass., 21 aprile 2005, n. 8360; cfr. anche Cass., 26 febbraio 2002, n. 2791;

Cass., 12 novembre 1999, n. 12538). Sotto tale profilo giova evidenziare come l'accertamento dello status di apolide, che si ricollega a una mera condizione negativa in fatto o in diritto della persona priva di ogni cittadinanza (Cass. Sez. un., 9 dicembre 2008, n. 28873, in motivazione), presuppone la valutazione delle norme che regolano tale aspetto nello Stato con il quale il soggetto ha avuto un legame giuridicamente rilevante.

In particolare, non può prescindersi dalla disposizione contenuta nel secondo comma dell'art. 10 Cost. , ai termini del quale "la condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali". In tema di apolidia, il punto di riferimento fondamentale, in materia pattizia, è costituito dalla Convenzione di New York del 28 settembre 1954, resa esecutiva in Italia con L. 1 febbraio 1962, n. 306 . L'art. 1 definisce apolide l'individuo che non è considerato cittadino da nessuno Stato, in virtù della propria legislazione: "une personne quaucun Etat ne considere comme son ressortissant par application de sa legislation". Lo stesso articolo 1 integra questa nozione con il requisito, di carattere sostanziale, del non essere l'individuo parificato, nello Stato di residenza, ai cittadini di questo quanto ai diritti e ai doveri connessi al possesso della cittadinanza:

"considerees par les autorites competentes du pays dans lequel ces personnes ont etabli leur residence coirne ayant les droits et les obligations attaches a la possession de la nationalitè de ce pays".

Tanto premesso, va ancora considerata la normale adozione di un criterio, ai fini dell'accertamento dell'apolidia, ristretto e maggiormente realistico, in funzione del quale si può pervenire al riconoscimento di tale stato a favore di coloro che siano privi della cittadinanza degli Stati con i quali intrattengano o abbiano intrattenuto rapporti rilevanti tali da dar vita ad un collegamento effettivo.

Con riferimento alla fattispecie in esame l'interpretazione della normativa vigente nella Repubblica di Macedonia assume carattere cogente, imponendosene, per le ragioni indicate, la sua deducibilità anche in sede di legittimità.

Deve quindi rilevarsi, che, risultando pacificamente che lo S. è nato il (OMISSIS), attuale capitale della (OMISSIS), deve trovare applicazione l'art. 3 della legge macedone sulla cittadinanza, a mente del quale la stessa si acquista :

1) Per origine;

2) Per nascita sul territorio della Repubblica di Macedonia;

3) Per naturalizzazione e 4) Per effetto di trattati internazionali.

Lo S., quindi, nato in territorio macedone e di origine macedone, deve considerarsi a tutti gli effetti cittadino macedone, non avendo bisogno di naturalizzazione, che riguarda (art. 7 della L. citata) gli stranieri.

Per altro, il riferimento della corte territoriale all'art. 26, u.c., della citata legge macedone sulla cittadinanza non appare pertinente, riferendosi tale disposizione (che prevede il requisito della residenza per quindici anni nel territorio della repubblica di Macedonia) ai "cittadini di altre Repubbliche della precedente Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia": il tenore di tale disposizione transitoria rafforza il convincimento dell'operatività di diritto della cittadinanza acquistata, come nell'ipotesi dell'odierno intimato, "iure soli", per essere nato, nell'ambito della disgregata federazione jugoslava, nel territorio della Repubblica di Macedonia.

Quanto all'attestazione di contenuto negativo sulla quale lo S. ha fondato la domanda, deve rilevarsi che, come si evince dell'art. 24 della citata legge macedone sulla cittadinanza, l'iscrizione nei registri di cittadinanza della Repubblica di Macedonia assume natura sostanzialmente dichiarativa, ragion per cui l'omessa registrazione, da attribuirsi all'inerzia del soggetto interessato, non assume valore decisivo in merito al possesso della cittadinanza, alla quale, per altro, non risulta che l'intimato abbia mai rinunciato.

Tale conclusione non muta in relazione al principio, affermato da questa Corte in merito agli oneri probato-ri posti a carico di chi rivendica lo stato di apolide, nel senso della mera sufficienza della produzione di atti a tal fine idonei (Cass., n. 14918 del 2007, in relazione al D.P.R. n. 573 del 1933, art. 17, contenente regolamento di esecuzione della L. 5 febbraio 1992, n. 91 ), in quanto, per le ragioni esposte, la suindicata documentazione di contenuto negativo circa la cittadinanza macedone (da provarsi, a mente dell'art. 23 della richiamata legge sulla cittadinanza) in base a passaporto, carta di identità valida o certificazione del Ministero dell'interno) può dipendere esclusivamente da una scelta dell'interessato in merito alla registrazione.

All'accoglimento del ricorso consegue la cassazione della sentenza impugnata. Ricorrono per altro i presupposti,non essendo necessarie ulteriori acquisizioni, per decidere la causa nel merito, nel senso del rigetto della domanda di accertamento dello status di apolide.

Ricorrono giusti motivi, avuto riguardo alle difficoltà interpretative in merito a legge straniera, per la compensazione delle spese dell'intero giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e,decidendo nel merito, rigetta la domanda dello S.. Dichiara compensate le spese processuali dell'intero giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 12 febbraio 2013.

Depositato in Cancelleria il 21 giugno 2013