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Giurisprudenza italiana

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Cass. civ. Sez. Unite, 09/12/2008, n. 28873

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARBONE Vincenzo - Primo Presidente

Dott. PAPA Enrico - Presidente di sezione

Dott. SETTIMJ Giovanni - Consigliere

Dott. MERONE Antonio - Consigliere

Dott. FORTE Fabrizio - rel. Consigliere

Dott. NAPPI Aniello - Consigliere

Dott. TOFFOLI Saverio - Consigliere

Dott. SPIRITO Angelo - Consigliere

Dott. TRAVAGLINO Giacomo - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso iscritto al n. 31868 del Ruolo Generale degli affari civili dell'anno 2006, proposto da:

M.J.C.A., elettivamente domiciliato in Roma al Largo Trionfale n. 7, presso l'avv. Giancarlo Fiorini, rappresentato e difeso dall'avv. VITIELLO Angelo, per procura a margine del ricorso;

- ricorrente -

contro

PREFETTURA - UFFICIO TERRITORIALE DEL GOVERNO DI BOLOGNA, in persona del Prefetto p.t. e, per quanto occorra, MINISTERO DELL'INTERNO, in persona del Ministro in carica, ex lege domiciliati in Roma alla Via dei Portoghesi n. 12, presso l'Avvocatura Generale dello Stato e da questa rappresentati e difesi;

- controricorrenti -

nonché P.G. presso la Corte d'appello di Bologna;

- interventore necessario non intimato -

avverso il decreto della Corte d'appello di Bologna, Sezione Prima Civile, nel procedimento camerale iscritto al n. 496 del R.G. Vol.

del 2005, del 2 dicembre 2005 - 31 gennaio 2006;

Udita, all'udienza del 18 novembre 2 008, la relazione del Cons. Dr. Fabrizio Forte;

Udito il P.M. Dr. NARDI Vincenzo, che ha concluso perché, previa declaratoria di ammissibilità del ricorso, si dichiari la giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria in accoglimento del relativo motivo del ricorso stesso, rigettando l'eccezione di difetto di legittimazione passiva del Ministero dell'interno.

Svolgimento del processo

Con ricorso depositato il 28 ottobre 2004 nella cancelleria del Tribunale di Reggio Emilia, M.J.C.A., premesso di essere espatriato dalla Repubblica socialista di (OMISSIS) in data (OMISSIS) e di non esservi rientrato da allora, perdendo, per la sua assenza dal paese per oltre undici mesi, le prerogative di cittadino cubano, tra le quali il diritto al rientro definitivo nel suo paese, chiedeva di dichiarare il suo stato di apolide.

Il Tribunale adito disponeva la notificazione del ricorso al Ministero dell'interno, che si costituiva ed eccepiva l'incompetenza per territorio in favore del Tribunale di Bologna, ai sensi dell'art. 25 c.p.c., deducendo la inammissibilità della domanda proposta con rito camerale.

Il ricorso era accolto dal Tribunale di Reggio Emilia con decreto del 22 giugno 2005, anzitutto denegando la improponibilità della domanda in sede giudiziaria, per essere il ricorrente legittimato a chiedere anche in via amministrativa al Ministero dell'interno il certificato di apolidia, ai sensi del D.P.R. 12 ottobre 1993, n. 572, art.17, previo accertamento della situazione dell'istante.

Pertanto, nel procedimento giurisdizionale, lo stesso Ministero dell'interno evocato in causa non aveva un interesse a contraddire l'accertamento della apolidia del ricorrente, intervenendo nell'azione di stato a tutela di interessi pubblici il solo P.M., con il cui parere, correttamente, poteva procedersi in sede di volontaria giurisdizione e con rito camerale ad accertare l'esistenza della pretesa apolidia.

Il tribunale dichiarava apolide il M., ricorrendo i presupposti dell'art. 1 della Convenzione di New York del 28 settembre 1954, per il quale "the term «stateless person» means a person who is not considered as a national by any State under the operation of its law" (il termine "apolide" significa una persona che non è considerata come cittadino da nessuno Stato, ai sensi della legge nazionale).

La legge cubana, prodotta in atti, priva della protezione tipica di chi è riconosciuto come cittadino e della stessa facoltà di rientro nel proprio paese di origine, senza limiti temporali, il soggetto che si sia allontanato per oltre undici mesi dal territorio dello Stato, rimanendo all'estero.

Avverso tale decreto è stato proposto reclamo alla Corte di appello di Bologna con ricorso del 9 settembre 2005, dal Ministero dell'interno che, riaffermata la propria legittimazione passiva nella controversia, ha eccepito ancora l'incompetenza territoriale del Tribunale di Reggio Emilia e l'improponibilità del ricorso, dovendo l'interessato prima esperire il procedimento di cui al D.P.R. n. 572 del 1993, art. 17, e infine la inapplicabilità del rito camerale; il M. ha resistito in sede di reclamo, replicando a tutte le censure del Ministero. Con decreto del 31 gennaio 2006 , la Corte d'appello di Bologna ha dichiarato improponibile il ricorso, in quanto, come osservato dal P.G., "per l'accertamento della apolidia, la legge prevede una apposita procedura", cioè quella del D.P.R. 12 ottobre 1993, n. 572, art. 17, norma del regolamento di esecuzione della legge 5 febbraio 1992 n. 91 sulla cittadinanza.

Tale norma prevede che il Ministero dell'interno "può certificare la condizione di apolidia, su istanza dell'interessato, corredata della seguente documentazione: a) atto di nascita; b) documentazione relativa alla residenza in Italia; e) ogni documento idoneo a dimostrare lo stato di apolide. È facoltà del Ministero dell'interno di richiedere, a seconda dei casi, altri documenti".

Da tale norma, la Corte di merito ha dedotto la sussistenza della legittimazione passiva del Ministero dell'interno che, potendo certificare la apolidia che il ricorrente intende fare accertare dai giudici, facendo valere un proprio diritto ( art. 81 c.p.c. ) nei confronti dell'unico soggetto di natura pubblica, cui è riservato l'accertamento documentale della situazione per poterla certificare e che è quindi legittimato a resistere nel processo, potendo anche proporre reclamo, ai sensi dell'art. 739 c.p.c..

La lettera della norma, conferendo al Ministero il potere di certificare la condizione di apolide, prevede un atto di detta amministrazione, cui è demandata la valutazione sia dei documenti comprovanti le condizioni personali del ricorrente che delle esigenze internazionali che consentono nel caso il riconoscimento della mancanza di ogni cittadinanza, negando l'esistenza di un atto dovuto e di una posizione di diritto soggettivo, dovendo qualificarsi come interesse legittimo quello del ricorrente a ottenere la certazione dello stato di apolide.

Quanto detto, ad avviso dei giudici di merito, non esclude una tutela giurisdizionale dello straniero che si dichiara apolide, riconosciuta anche dalla sentenza della C. Cost. 4 agosto 2003 n. 293, anche se vi è solo un interesse legittimo alla certificazione di detto stato personale di assenza di ogni cittadinanza, il cui rifiuto dalla P.A. può impugnarsi dinanzi a giudice amministrativo con improponibilità conseguente del ricorso del M. al Tribunale ordinario, con assorbimento di ogni altra questione proposta nel reclamo e equa compensazione delle spese tra le parti.

Avverso tale decreto propone ricorso il M. di due motivi e resistono l'Ufficio territoriale del governo di Bologna e il Ministero dell'Interno con controricorso, nel quale è dedotta l'inammissibilità e infondatezza della avversa impugnazione.

Motivi della decisione

1.1. In via pregiudiziale, il M. chiede a questa Corte di accertare l'ammissibilità, solo genericamente contestata dai controricorrenti, del suo ricorso per cassazione, ai sensi dell'art. 111 Cost., comma 7, contro un provvedimento della Corte di appello di Bologna, che è decreto e non sentenza, anche se pronunciato all'esito di un contraddittorio tra le parti e relativo ad uno stato personale.

La questione prospettata dallo stesso ricorrente e dal P.G. in udienza è comunque rilevabile d'ufficio e incidente sui singoli motivi d'impugnazione, compreso quello che deduce la violazione delle norme sulla giurisdizione, sulla quale nessuna decisione potrebbe essere presa ove il ricorso si ritenesse precluso, per non essere ricorribile il provvedimento della Corte bolognese non costituente sentenza, e da ritenere privo di ogni carattere decisorio e definitivo.

1.2. Il primo motivo di ricorso eccepisce il difetto di legittimazione passiva del Ministero dell'interno, che la Corte bolognese ha desunto da una norma da essa qualificata erroneamente di legge, ma che è in realtà solo regolamentare, cioè il D.P.R. 12 ottobre 1993, n. 572, art. 17, regolamento di esecuzione della L. 5 febbraio 1992, n. 91 , recante nuove norme sulla cittadinanza, che non disciplina un potere di detto Ministero in relazione allo stato che il M. chiede di accertare.

L'amministrazione evocata in causa non può impedire l'accertamento dello status in sede giurisdizionale, riservata al giudice ordinario, ai sensi dell'art. 9 c.p.c. e dalla L. 20 marzo 1865, n. 2248, art. 2, in ragione della riserva di legge, che si applica sia alla materia degli stati personali che a quella del diritto di agire in giudizio.

Ove la norma regolamentare citata, che conferisce poteri certificatori al Ministero dell'interno in materia di apolidia, rendesse inammissibile l'azione dinanzi al giudice ordinario, tale conseguenza contrasterebbe con l'art. 4 preleggi , escludendo una tutela giurisdizionale a mezzo di una norma regolamentare in contrasto con la legge che, come detto, è quella n. 91 del 1992, il cui art. 25 prevede la emanazione successiva delle "disposizioni necessarie per l'esecuzione" di essa, ma non consente l'adizione di una disciplina in contrasto con i precetti legislativi contenuti nelle norme primarie. La norma regolamentare, se letta nei sensi di cui al decreto impugnato, contrasta con le norme della dichiarazione universale dei diritti umani (artt. 6 e 15) e con il patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, aperto alla firma a New York il 16 e 19 dicembre 1966, e ratificato dalla L. 25 ottobre 1997, n. 881, che riconoscono il diritto al riconoscimento del proprio stato personale.

Ad avviso del ricorrente, la norma regolamentare di cui sopra, se fosse preclusiva dell'azione dinanzi al tribunale ordinario, come ritenuto nel provvedimento impugnato, contrasterebbe con l'art. 9 c.p.c. , sulla competenza del tribunale ordinario in materia di status, con la L. 20 marzo 1865, n. 2248, art. 2, che attribuisce alla giurisdizione ordinaria tutte la cause e le materie nelle quali si faccia questione di un diritto civile o politico, con la L. 6 dicembre 1971, n. 1034, art. 7, comma 3, e art. 8, comma 2, che escludono ogni potere del Tribunale amministrativo regionale di decidere questioni pregiudiziali sullo stato della persona, pure in caso di giurisdizione esclusiva dei giudici amministrativi.

1.3. Il secondo motivo di ricorso deduce violazione dal decreto dell'art. 360 c.p.c. , n. 1, per avere denegato la giurisdizione del giudice ordinario nella materia.

Ad avviso della Corte bolognese, la disciplina di cui al citato D.P.R. n. 572 del 1993, art. 17, conferendo al Ministero dell'interno un potere discrezionale di rilascio della certificazione dello stato di apolide, esclude un diritto soggettivo dell'istante a ottenere tale certificazione, riconoscendo solo un interesse legittimo alla stessa, tutelabile davanti al giudice amministrativo.

Ad avviso del ricorrente, in base alla norma regolamentare, non solo s'è accertata la legittimazione passiva del Ministero ma si è anche dichiarato improponibile il ricorso al giudice ordinario, dovendosi negare tale preclusione che deriverebbe dal carattere di interesse legittimo, che avrebbe la posizione che si intende tutelare, per almeno tre profili: a) la materia degli stati personali attiene a diritti soggettivi; b) la certificazione amministrativa di cui al regolamento ha natura diversa dall'accertamento giurisdizionale; c) è incompatibile la questione di stato con la tutela dinanzi al giudice amministrativo, che sulla stessa non può pronunciarsi.

In ordine al primo profilo, la condizione di apolide comporta l'esistenza di diritti riconosciuti anche da accordi sovranazionali, che nessuna norma, per giunta regolamentare, può degradare a interessi legittimi, come rilevato dalla dottrina, che riconosce il doppio binario, amministrativo e giurisdizionale, per l'accertamento dello stato di apolidia.

La convenzione internazionale citata del 1954, relativa agli apolidi, segue di pochissimo quella di Ginevra del 28 luglio 1951, sui rifugiati politici, ed è informata a principi analoghi.

Se si riconosce la giurisdizione del giudice ordinario nella materia dei rifugiati politici, essa non può negarsi in quella oggetto del presente ricorso; una preclusione regolamentare, effetto del potere del Ministero dell'interno di "certificare" lo stato di apolide risultante da prove documentali, costituisce violazione di legge, dovendosi negare, per il ricorrente, la stessa legittimazione a stare in giudizio del Ministero, se fondata esclusivamente su detta norma secondaria.

La certificazione di cui al regolamento, è emessa solo in base ai documenti prodotti dalla parte interessata ed è rilasciata ove la P.A. possa ritenere dimostrata l'apolidia dell'istante in base a tali atti.

L'accertamento dell'apolidia in sede giurisdizionale soccorre proprio allorquando la prova documentale manchi, potendo il giudice ordinario avvalersi di ogni strumento istruttorio per accertare lo stato del ricorrente, dichiarandolo con una sentenza definitiva anche se instabile, perché emessa rebus sic stantibus. In ogni caso, se il ricorrente dovesse impugnare un provvedimento negativo del Ministero, comunque, ai sensi della L. n. 1034 del 1971, artt. 7 e 8, il giudice amministrativo dovrebbe rimettere a quello ordinario la risoluzione della questione di stato, che la P.A. può solo certificare e non concedere o autorizzare.

2.1. Deve pregiudizialmente negarsi la legittimazione processuale della Prefettura di Bologna a stare in giudizio in questa sede, non essendo stata parte del procedimento di merito, nel quale ha resistito il solo Ministero dell'Interno, che ha proposto il reclamo in base al quale si è emesso il provvedimento oggetto di ricorso per cassazione, correttamente neppure notificato a detto Ufficio territoriale del governo. Unico legittimato a resistere in questa sede è quindi il Ministero dell'interno, per essere stato il solo soggetto parte del giudizio di merito (Cass. 14 febbraio 2007 n. 3345 e Cass. 7 marzo 2006 n. 4864; sui rapporti tra Ufficio territoriale del Governo, quale ufficio periferico del Ministero dell'interno, e quest'ultimo, cfr. Cass. 14 febbraio 2006 n. 3144).

2.2. Il ricorso, come chiesto dal ricorrente e dal P.G. in udienza, deve dichiararsi ammissibile, anche se impugna un provvedimento che non è una sentenza, ai sensi dell'art. 111 Cost. , comma 7. Infatti il decreto impugnato che, in contraddittorio tra il ricorrente e il Ministero dell'interno, ha dichiarato improponibile la domanda rivolta al Tribunale ordinario, di accertamento della condizione di apolide cioè di uno stato personale, costituendo quest'ultimo l'oggetto della controversia e il presupposto di una serie di posizioni soggettive, attive e passive, con natura di diritti, del soggetto che ha proposto la domanda in sede di merito, ha natura decisoria e definitiva, anche se è modificabile nel tempo perché emesso rebus sic stantibus, come ogni pronuncia di tale tipo, instabile perché relativa a situazioni personali, che possono sempre cambiare.

Da tali rilievi sulla natura del decreto impugnato, consegue la ricorribilità di esso per cassazione ai sensi del citato art. 111 Cost. , comma 7, essendo stato emesso all'esito di una procedura contenziosa in camera di consiglio, rito sulla cui utilizzazione nessuna impugnazione si propone in questa sede. In ordine ai procedimenti camerali contenziosi, come quello concluso dal provvedimento impugnato, che è relativo a diritti soggettivi e a status, se ne afferma la natura decisoria e definitiva e la impugnabilità per cassazione (S.U. 6 febbraio 2006 n. 2447 e 26 gennaio 2005 n. 1521, tra altre), salvo che abbiano natura cautelare (S.U. 7 marzo 2008 n. 6172). Tale ricorribilità per cassazione emerge in relazione alla situazione analoga relativa allo stato di rifugiato politico e ai provvedimenti che lo riconoscono (Cass. 20 dicembre 2007 n. 26822, 15 gennaio 2007 n. 747, S.U. 16 ottobre 2006 n. 22216, Cass. 11 gennaio 2006 n. 396, 2 febbraio 2005 n. 2091, 28 aprile 2000 n. 5417) e in tutte le controversie in cui siano in discussione modifiche successive degli effetti accessori delle sentenze di separazione o divorzio, decise, con rito camerale, da decreti impugnabili per violazione di legge.

Neppure si è posto il problema dell'ammissibilità del ricorso per cassazione, per il profilo ora esposto della natura del provvedimento impugnato, questa Corte con la sentenza del 27 febbraio 2008 n. 5212, che ha accolto il ricorso del Ministero dell'interno avverso una ordinanza della Corte d'appello di Trento, che aveva confermato la dichiarazione di apolidia decisa in primo grado, ritenendo nulla la notifica al ricorrente dell'atto introduttivo del rito camerale svoltosi in primo grado, nella contumacia del Ministero stesso, e quindi senza contraddittorio il procedimento, sul presupposto implicito della ricorribilità in questa sede del provvedimento impugnato che nel caso non era una sentenza.

Altrettanto è a dire, sia pure in riferimento ad una sentenza emessa all'esito di un rito ordinario dalla Corte d'appello di Perugia, che ha denegato l'apolidia dell'istante, il cui ricorso in cassazione è stato rigettato, perché privo di fondamento (Cass. 28 giugno 2007 n. 14918); la scelta del rito ordinario e della sentenza per la decisione, ha escluso in radice problemi sulla ricorribilità della pronuncia, che ha ad oggetto, anche essa, lo stato di apolidia.

In quanto relativa allo stato di apolidia, ogni decisione in un procedimento contenzioso, camerale o ordinario, per l'accertamento dello stato di apolidia, pur se decreto o ordinanza, è ricorribile per cassazione, come la sentenza con contenuto identico. Di regola, peraltro, si nega la ricorribilità in questa sede dei decreti c.d. di volontaria giurisdizione, emessi cioè in procedimenti non contenziosi e relativi a condizioni di fatto di minori ma non incidenti sul loro stato personale, come quelli in materia di potestà genitoriale o di affidamento temporaneo degli stessi (Cass. 5 febbraio 2008 n. 2576, S.U. 4 novembre 2003 n. 16568, 7 maggio 1998 n. 4614, e contra solo Cass. 6 aprile 1995 n. 4035).

Nel caso, la decisione chiesta alla Corte d'appello di Bologna è stata emessa, all'esito d'un procedimento contenzioso camerale in contraddittorio tra il ricorrente e il Ministero dell'interno, il quale, per la facoltà che ha di riconoscere in via amministrativa la cittadinanza ( L. 5 febbraio 1992, n. 91 ), è stato ritenuto legittimato nella presente causa, in base a detta legge e al regolamento di esecuzione di essa, che gli consentono di certificare la condizione di apolide, su istanza dell'interessato.

La domanda del M. tende, nella fattispecie, a un accertamento negativo di qualsiasi cittadinanza dell'istante e attiene alla condizione di apolidia, in assenza del cui riconoscimento formale, non sono operativi alcuni diritti che sorgono per l'apolide per la legge dello Stato ove egli abitualmente vive.

Infatti lo statuto dell'apolide, analogo a quello di rifugiato politico, comporta, in alcune materie, lo stesso trattamento dello straniero in genere, al di fuori di ogni principio di reciprocità ( art. 16 preleggi ), mentre, in altre materie (ad es. libertà religiosa, diritto di stare in giudizio, diritti di proprietà industriale), dà luogo al riconoscimento degli stessi diritti del cittadino.

Agli apolidi, lo Stato di residenza deve riconoscere, in base agli accordi internazionali, il diritto al rilascio di atti di identità o di carta provvisoria di viaggio, sostitutivi di quelli rilasciati agli stranieri dalle loro autorità nazionali e, inoltre, come per ogni straniero, il diritto di rimanere nel territorio nazionale, sia pure condizionato al rilascio del permesso di soggiorno, ottenibile con un lavoro stabile, che comporta quello all'assistenza sanitaria e alla previdenza sociale, riconoscendo la facoltà dell'apolide di chiedere la cittadinanza italiana, dopo cinque anni di permanenza nel territorio dello Stato ( L. 5 febbraio 1992, n. 91, art. 9, lett. e).

In realtà, non vi è una norma primaria o di legge che regoli l'accertamento in sede amministrativa dello stato di apolide, termine che indica una mera condizione negativa in fatto o in diritto della persona priva di ogni cittadinanza, con tutte le difficoltà probatorie di tali vicende non positive.

Tale condizione è però riconosciuta dalla Convenzione di New York del 28 settembre 1954, ratificata in Italia conL. 1 febbraio 1962, n. 306 , per la quale è apolide colui che si trova in un paese di cui non è cittadino, provenendo da altro paese del quale ha formalmente o sostanzialmente perso la cittadinanza, tanto che non vi può più rientrare in via definitiva. A fronte di tale situazione, le norme regolamentari di esecuzione della L. n. 92 del 1991 ( D.P.R. 12 ottobre 1993, n. 572, art. 17), legittimamente conferiscono al Ministero dell'interno il potere di certificazione, cioè di accertamento e attestazione con valore legale, della condizione d'apolide, su "istanza dell'interessato" e sulla base della documentazione da lui allegata ed eventualmente di altri documenti di cui l'amministrazione può sollecitare l'esibizione al richiedente, comprovanti in diritto lo stato che si vuole certificato.

A tale norma secondaria, in violazione dell'art. 111 Cost. , comma 1, i giudici di merito hanno collegato l'improponibilità della domanda loro rivolta, ai sensi dell'art. 9 c.p.c. , ricavando da essa il riconoscimento del solo interesse legittimo dell'istante a ottenere la certificazione del Ministero.

Come esattamente osservato da questa Corte, sia pure in riferimento ad altra situazione e allo stato di invalidità, l'attività di certificazione di una condizione personale da parte della P.A. non può essere discrezionale e non può affievolire da diritto a interesse legittimo la posizione soggettiva del ricorrente (S.U. 17 dicembre 1999 n. 912).

Una corretta lettura della citata norma regolamentare per la quale "il Ministero dell'Interno può certificare la condizione di apolidia", in base alla documentazione allegata dall'istante, comprendente ogni documento idoneo a dimostrare legalmente tale stato, induce a ritenere che la certificazione possa negarsi, solo quando non sia documentalmente provata la situazione che si chiede di attestare o allorché il Ministero eserciti la sua facoltà di chiedere altri documenti (così il capoverso del D.P.R. n. 572 del 1993, art. 17).

Solo la certezza desumibile da prove documentali ovvero da atti scritti (ad es. dichiarazione di perdita della cittadinanza dello Stato di provenienza) che l'istante è una "stateless person", come si legge nella convenzione di New York ovvero, nella lingua diplomatica, "une personne qu'aucun Etat ne considère comme son ressortissant par application de sa législation", e non sia uno straniero con cittadinanza di altro paese, autorizza il Ministero al rilascio dovuto all'istante della certificazione.

Unico potere discrezionale, di tipo tecnico, del Ministero dell'interno è quello di valutare i documenti prodotti dall'interessato per provare la situazione di apolidia dedotta in domanda, e eventualmente di richiederne altra, ma una volta ritenuta esistere la prova documentale di tale condizione, l'amministrazione, quale organo dello Stato che ospita l'istante, deve attestare lo stato di apolidia, che non è conferito da essa ma solo riconosciuto e certificato, come esattamente è scritto nella norma del regolamento citato.

Correttamente pertanto la Corte Costituzionale ha ritenuto sussistere per l'apolide la facoltà alternativa di ottenere "il riconoscimento amministrativo o giudiziale" della sua condizione, non potendo l'assenza di certificazione amministrativa precludere il procedimento giurisdizionale di riconoscimento dei diritti dell'apolide che, in quanto accertamento negativo di ogni cittadinanza, incide sui diritti soggettivi dell'istante, come tali oggetto della giurisdizione del giudice ordinario (che decide su di essi di regola con sentenza: S.U. 27 gennaio 1995 n. 1000 e 7 luglio 1993 n. 7441).

Solo il giudice ordinario può essere adito a tutela di tali posizioni soggettive, ai sensi degli artt. 24, 25 e 113 Cost. (su tale diritto, anche dell'apolide, cfr. S.U. 8 febbraio 2001 n. 46 e Cass. 28 giugno 2007 n. 14918).

2.2. Sono quindi ricorribili per cassazione i provvedimenti che incidono anche negativamente sullo stato di cittadino, costituente un carattere permanente della persona, cui si connettono più diritti e tale è il decreto oggetto di ricorso, in apparenza solo preclusivo dell'azione dinanzi al giudice ordinario, ma in sostanza negante l'esistenza stessa del "diritto" al riconoscimento dell'apolidia che, in negativo, corrisponde a quello della cittadinanza, la cui tutela in sede giurisdizionale dal giudice ordinario non è negabile ( art. 9 c.p.c. e art. 113 Cost.).

L'affermazione esplicita del decreto impugnato, circa l'esistenza di un mero interesse legittimo ad essere qualificato apolide da un provvedimento amministrativo impugnabile al T.A.R., per il soggetto che domandi il riconoscimento della detta condizione, costituisce accertamento definitivo e decisorio ricorribile per cassazione, anche se formalmente sembra solo precludere al ricorrente il riconoscimento giudiziario di una situazione, contrastata dalla stessa P.A. che ha il potere di certificarla, se vi sia la prova documentale di essa, quale è anche il provvedimento che accolga la domanda dell'istante.

Il decreto denega diritti spettanti al ricorrente e tutelabili in sede di giurisdizione ordinaria, con l'affermazione della loro non riconoscibilità diretta dai giudici ordinari; esso definisce tali posizioni soggettive del ricorrente interessi legittimi e denegando allo stesso la legittimazione a chiedere al Tribunale ordinario la tutela della sua condizione, con il riconoscimento negativo di ogni cittadinanza da provare a sua cura, con i mezzi istruttori di legge.

Pertanto il provvedimento impugnato è una pronuncia decisoria e definitiva, come tale ricorribile per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost., comma 7 (in tale senso tutte le sentenze citate relative agli status, comprese le due sulla condizione d'apolide).

In conclusione, il ricorso deve dichiararsi ammissibile, per essere decisorio il decreto emesso all'esito di un procedimento contenzioso camerale, con il quale si è denegato il diritto all'accertamento della condizione di apolide, affermandosi l'esistenza di un interesse legittimo a tale accertamento, da tutelare con ricorso al giudice amministrativo.

Tale provvedimento è anche definitivo, ma instabile, in ordine agli effetti preclusivi alla acquisizione dei diritti conseguenti al riconoscimento della apolidia del ricorrente, perché l'affermata improponibilità della domanda con decreto, invece che con sentenza, non può precludere una nuova istanza dell'interessato nei medesimi sensi.

2.3. Infine, sempre in via preliminare, va riaffermata l'ammissibilità del ricorso per cassazione, pur se non notificato al P.G. presso la Corte d'appello di Bologna, che è intervenuto in appello, ai sensi dell'art. 70 c.p.c. , n. 3, avendo il decreto accolto interamente le sue conclusioni; il P.G. presso la Corte a quo nessun interesse può avere quindi ad impugnare in via incidentale la pronuncia oggetto di ricorso, dovendo provvedere a difendere la eventuale legalità e legittimità della decisione in questa sede il P.G. presso questa Suprema Corte (Cass. 5 marzo 2008 n. 5953, 28 febbraio 2007 n. 4764, 29 marzo 20066 n. 7144, tra altre).

3. Le ragioni per le quali il ricorso è stato ritenuto ammissibile, per la natura contenziosa del procedimento relativo a diritti soggettivi a base del decreto impugnato, impongono anche l'accoglimento del secondo motivo di esso, attinente alla giurisdizione; le stesse motivazioni impongono invece di rigettare, in quanto infondato, il primo motivo di ricorso, che denega la legittimazione passiva del Ministero dell'interno, preposto al riconoscimento della cittadinanza, avente una posizione denegata in primo grado erroneamente, avendo il potere di riconoscere in via amministrativa la condizione di cittadino e di procedere all'accertamento negativo di essa, anche con riferimento a Stati diversi da quello italiano, pur se limitato a mere indagini documentali, con la conseguenza che esso è vincolato a certificare l'apolidia da una decisione giurisdizionale che l'accerti (citato D.P.R. n. 572 del 1973, art. 17). La norma regolamentare, in quanto la L. n. 92 del 1991, di cui è attuazione prevede, all'art. 9, lett. e, il diritto dell'apolide ad avere la cittadinanza dopo cinque anni di residenza legale in Italia, stabilisce le modalità in via amministrativa per certificare tale condizione dello straniero che si trovi in Italia.

Il decreto del Ministro dell'interno del 24 novembre 1994, che ha disciplinato in via regolamentare le modalità di acquisizione della cittadinanza per l'apolide, come precisato nella circolare esplicativa k 60 1 del 23 dicembre 1994 dello stesso Ministero, sancisce che l'apolide possa presentare la domanda di cittadinanza, corredata "della documentazione idonea ad attestare la sussistenza del titolo alla eventuale concessione", costituita dalla "copia autenticata del provvedimento ricognitivo dello stato di apolidia pronunciato dall'autorità giudiziaria italiana ovvero copia del provvedimento ministeriale dichiarativo dell'apolidia", così confermando la doppia strada che gli interessati possono seguire per l'accertamento dello stato di apolidi, cioè quella giurisdizionale senza limiti di prova o quella amministrativa, limitata alla prova documentale, che impone all'amministrazione di certificarla.

In quanto lo straniero, privo dalla nascita ovvero privato, in diritto o in fatto, della cittadinanza del suo paese di origine, e residente in Italia, fa valere nel processo in cui chiede l'accertamento di tale stato, un diritto che gli può essere riconosciuto anche in via amministrativa se risultante da documenti e che egli esercita in nome proprio nel processo ( art. 81 c.p.c. ), è suo interesse evocare in causa l'unico soggetto che, da una ricognizione dell'apolidia in sede giurisdizionale può restare vincolato a certificarla, ai sensi del D.P.R. 572 del 1993, art. 17, cioè il Ministero dell'interno, che quindi si è correttamente ritenuto legittimato passivo nella presente azione dai giudici di merito. Il riconoscimento della legittimazione sostanziale passiva del Ministero dell'interno conferma la natura contenziosa, a prescindere dal rito camerale o ordinario adottato, della controversia oggetto del presente giudizio e, in quanto relativo ad una questione preliminare di merito, non incide sulla disciplina del processo, che, come tale, ai sensi dell'art. 111 Cost. , comma 1, non può che essere regolato da legge, con la conseguenza che la affermata preclusione del ricorso al giudice ordinario, affermata dalla Corte di merito in ragione del D.P.R. n. 572 del 1993, art. 17, anche se in tale norma non prevista, porterebbe ad una regola processuale sancita in via regolamentare invece che legislativa, in contrasto con la citata norma costituzionale.

La norma regolamentare conferma solo la natura contenziosa del procedimento derivante dalla legge del 1991 sulla cittadinanza e il carattere decisorio del provvedimento che lo conclude, in rapporto alle situazioni soggettive controverse, con conseguente ricorribilità per cassazione di esso, ma logicamente è solo il contesto delle norme primarie già citate che impone detta conclusione.

Sotto il profilo della legittimazione sostanziale, la attribuzione nel regolamento dei poteri di sola certificazione dell'apolidia, che risulti da documentazione (compresa quella costituita dalla copia della pronuncia giurisdizionale di accertamento di detto stato), al Ministero dell'interno, vincolato alle statuizioni del giudice su tale stato e quindi legittimato a contrastare in sede giudiziaria detto accertamento che gli impone una certificazione che esso solo può fare ( art. 81 c.p.c. ), non evidenzia alcun contrasto del regolamento di attuazione del 1993 con la legge sulla cittadinanza del 1991 né una violazione dell'art. 4 preleggi o dei principi costituzionali sulla gerarchia delle fonti.

Di conseguenza, deve rigettarsi il primo motivo di ricorso e confermarsi la legittimazione passiva del Ministero dell'interno, controricorrente in questa sede, quale unica parte legittimata sostanzialmente e processualmente, a resistere in sede di legittimità.

3.2. È invece fondato il secondo motivo di ricorso attinente alla giurisdizione del giudice ordinario negata dal provvedimento impugnato.

Erroneamente si è ritenuto insussistente il diritto di domandare al giudice ordinario l'accertamento dello stato di apolide, cioè la ricognizione negativa della cittadinanza di qualsiasi Stato, sulla base del D.P.R. n. 572 del 1993,art. 17.

Tale preclusione, non prevista da alcuna norma né legislativa né regolamentare e solo desunta dalla Corte d'appello di Bologna, in base a una lettura non condivisibile della citata norma del regolamento di esecuzione della legge sulla cittadinanza, contrasta, oltre che con l'art. 10, commi 1 e 2, e art. 113 Cost. , perché denega tutela allo straniero apolide dallo Stato in cui egli si trova stabilmente anche se la stessa è prevista e imposta agli Stati che hanno aderito alla citata Convenzione di New York del 1954, e impedisce la tutela di diritti soggettivi dinanzi agli organi della giurisdizione ordinaria, sancita invece dalla carta costituzionale.

La preclusione è inoltre in contrasto con l'art. 9 c.p.c. , per il quale il Tribunale ordinario è competente "esclusivamente" per le cause "relative allo stato e alla capacità delle persone", e con la L. 20 marzo 1865, n. 2248, art. 2, all. E, che, allo stesso giudice ordinario riserva le materie in cui si faccia questione di un diritto civile o politico, la cui tutela è sempre ammessa dinanzi al predetto giudice ai sensi dell'art. 113 Cost..

Altrettanto è a dire in ordine al difetto di giurisdizione del giudice amministrativo che, ai sensi della L. n. 1034 del 1971, artt. 7 e 8, non può conoscere delle questioni pregiudiziali di stato, da risolvere in via incidentale, e ovviamente non può su di esse pronunciarsi in via principale, anche ai sensi del già richiamato art. 113 Cost..

L'affermazione della giurisdizione del giudice ordinario sulla domanda di ricognizione dello stato di apolide comporta la fondatezza del secondo motivo di ricorso, con conseguente cassazione del decreto impugnato e rinvio del processo alla Corte d'appello di Bologna in diversa composizione, perché si pronunci sulla domanda del M. in contraddittorio con il Ministero dell'interno, accertando se l'applicazione della legge dello Stato di Cuba da cui lo stesso proviene, gli impedisca effettivamente, per la sua assenza di oltre undici mesi dal paese di origine, il rientro permanente nel suo paese di nascita, privandolo quindi del diritto fondamentale di ogni cittadino di vivere nello Stato che gli riconosce tale condizione, e decida quindi se tale situazione di fatto e di diritto possa farlo qualificare apolide.

Con la decisione in sede di rinvio, la Corte deciderà anche sulla disciplina delle spese del presente giudizio di cassazione e di quelle dell'intero procedimento.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione e dichiara la giurisdizione del giudice ordinario. Cassa il decreto impugnato e rinvia la causa alla Corte d'appello di Bologna in diversa composizione, perché si pronunci sulla domanda di accertamento dello stato di apolide del ricorrente e sulle spese dell'intero giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, il 18 novembre 2008.

Depositato in Cancelleria il 9 dicembre 2008