Il nostro sito NON utilizza alcun cookie di profilazione. Sono invece utilizzati cookie di terze parti legati alla presenza dei “social plugin”. Per altre informazioni sull’utilizzo dei cookie e loro disabilitazione, leggi l'informativa completa.

Giurisprudenza italiana

Italian Arabic Chinese (Simplified) English French Portuguese Russian Spanish Swahili

Cass. civ. Sez. VI, Ord., 23/01/2012, n. 903

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME' Giuseppe - Presidente

Dott. RORDORF Renato - Consigliere

Dott. MACIOCE Luigi - rel. Consigliere

Dott. BERNABAI Renato - Consigliere

Dott. DOGLIOTTI Massimo - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

Tribunale di Bari;

nel procedimento promosso da:

L.S. (avv. Vincenzo Rocco);

contro

Ministero dell'Interno;

udita la relazione della causa svolta nella c.d.c. del 15.12.2011 dal Consigliere Dott. Luigi MACIOCE;

presente il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio.

Svolgimento del processo

presente il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio.

Il Collegio che il relatore designato nella relazione depositata ex art. 380 bis c.p.c. ha formulato considerazioni nel senso:

CHE L.S. nato a (OMISSIS) propose domanda di riconoscimento dello status di apolide, nei confronti del Ministero dell'Interno, innanzi al Tribunale di Foggia che, sulla base della applicabilità del D.Lgs. 25 del 2008, art. 35, declinò in data 25.6.2010 in favore del Tribunale di Bari; il Tribunale di Bari con ordinanza 4.2.2011 ha sollevato conflitto affermando che, inapplicabile la previsione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 afferente la diversa condizione del richiedente protezione internazionale e dovendosi applicare il solo criterio generale del Foro del convenuto, a competenza non poteva spettare altro che al Tribunale di Roma; CHE l'ordinanza del rimettente Tribunale di Bari appare contenere affermazioni affatto persuasive; CHE deve essere riportato quanto assai di recente statuito da questa Corte in ordine al rito applicabile alle controversie di apolidia, nel senso della chiara esclusione di alcuna applicabilità del rito camerale e del rito della protezione internazionale (con relative previsioni di deroga alla ordinaria competenza per territorio), avendo la sentenza 7614 del 2011 statuito che:

L'apolidia è status del soggetto, riconosciuto dalla Convenzione di New York del 28.9.1954; la L. 5 febbraio 1992, n. 91 menziona lo status anzidetto equiparandolo a quello del cittadino straniero ai fini dell'acquisizione della cittadinanza e ad esso impone, ove residente, l'osservanza della legge Italiana e ad esso attribuisce i diritti civili (art. 16, comma 1). Il riconoscimento dello status promana dalla sussistenza delle situazioni indicate nella Convenzione e viene "attestato" da decreto del Ministro dell'Interno ( D.P.R. n. 572 del 1993, art. 17, regolamento di attuazione della L. n. 91 del 1992 ). Ed è proprio il Ministro dell'Interno il necessario ed esclusivo contraddittore in ordine alle domanda di riconoscimento dello stato in discorso (S.U. n. 28873 del 2008). Le controversie sull'acquisto della cittadinanza spettano, come noto, trattandosi di stato della persona, al Tribunale in sede di ordinaria cognizione ( art. 9 c.p.c. , comma 2) e la previsione di cui all'art. 742 bis c.p.c. non si può intendere come estensiva del rito da quelle controversie sullo stato delle persone nominate al titolo 2^ del libro 4^ del c.p.c. a tutte quelle appartenenti ad un indeterminato "genus" di "famiglia e stato" L'art. 742 bis c.p.c., infatti, là dove dispone che "Le disposizioni del presente capo si applicano a tutti i procedimenti in camera di consiglio, ancorchè non regolati dai capi precedenti o che non riguardino materia di famiglia o di stato delle persone" comporta che, quando un procedimento in camera di consiglio sia regolato da una disciplina speciale, le eventuali lacune, in mancanza di norme che lo escludano, debbono essere colmate con il ricorso alla disciplina generale dei procedimenti in camera di consiglio contenuta negli artt. da 737 a 742 bis c.p.c. (Cass. n. 18143 del 2002): la previsione, quindi, non ha alcuna idoneità ad estendere le ipotesi applicative di procedura camerale - sempre "nominate" - ma è diretta solo a completare le regole processuali di quelle esterne al codice di rito con le regole generali di cui agli artt. 737 e ss.. Il rito camerale contenzioso è espressamente previsto da numerose leggi speciali e, per quel che rileva, tanto dal T.U. sull'immigrazione approvato dal D.Lgs. n. 286 del 1998 (artt. 13 e 13 bis del T.U. come modificati dal D.Lgs. n. 113 del 1999, artt. 3 e 4 - art. 30, comma 6 del T.U.), quanto, in materia di protezione internazionale, dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 come modificato dalla L. n. 94 del 2009, nelle prime come nella seconda ipotesi in ragione delle esigenze di assoluta celerità nella definizione del procedimento (stante l'urgenza dei concorrenti interessi della sollecita esecuzione della misura espulsiva, nel primo caso, e della immediata risposta alla esigenza di protezione, nel secondo caso): ed appare palese come nell'acquisizione dello status di apolide non si scorge nè assoluta urgenza soggettiva nè interesse pubblico alla immediatezza di definizione. Nè del resto appare casuale che il legislatore, all'atto di optare per la scelta camerale in ordine al procedimento afferente la protezione internazionale, ciò abbia fatto esplicitamente, ripetutamente (da ultimo con il citato D.Lgs. n. 25 del 2008 ) ed imponendo la adozione della forma della sentenza per la definizione in ciascuno dei due gradi della controversia (S.U. 27310 del 2008) restando silente invece quanto alla definizione camerale di legittimità, pertanto conclusa con ordinanza (Cass. n. 17576 del 2010). Sulla questione del rito camerale per la controversia che occupa non appare poi corretto richiamare, in favore della tesi del ricorrente, precedenti di questa Corte, dato che la decisione delle S.U. n. 28873 del 2008 si è limitata a ritenere ammissibile il ricorso in sede di legittimità avverso il decreto emesso in sede camerale contenziosa (non essendo stato prospettato alcun problema di legittimità di tale procedimento) e che di contro l'unica decisione assunta in un procedimento nel quale la questione del rito venne posta dall'Amministrazione (Cass. n. 5212 del 2008) ha ritenuto assorbente l'accoglimento del diverso motivo che prospettava la nullità della decisione per essere stata la notifica dell'atto effettuata nei confronti del Ministero e non ai sensi del R.D. n. 1611 del 1933, art. 11. CHE dunque, se, in difetto di diversa esplicita previsione del legislatore, le controversie afferenti lo stato di apolide devono essere proposte e decise, nel contraddittorio del Ministro dell'Interno, nelle forme proprie dell'ordinario giudizio di cognizione, appare necessaria ed indefettibile conseguenza che esse spetteranno alla competenza del Foro del convenuto e quindi al Tribunale di Roma. CHE, ove si condivida il testè formulato rilievo, può essere fissata c.d.c. per la decisione.

OSSERVA

Motivi della decisione

La relazione, ad avviso del Collegio, merita piena condivisione. Deve pertanto dichiararsi la competenza del Tribunale di Roma a conoscere della domanda proposta da L.S. nei confronti de Ministro dell'Interno per il riconoscimento del suo status di apolide, innanzi al quale rimette le parti. Non è luogo a regolare le spese di giudizio, non essendovi stata difesa delle parti nel proposto regolamento d'ufficio.

P.Q.M.

Dichiara a competenza del Tribunale di Roma.