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Giurisprudenza italiana

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Cass. civ. Sez. I, 27/02/2008, n. 5212

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARNEVALE Corrado - Presidente

Dott. MORELLI Mario Rosario - Consigliere

Dott. PANZANI Luciano - Consigliere

Dott. SCHIRO' Stefano - Consigliere

Dott. PETITTI Stefano - rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

MINISTERO DELL'INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, è domiciliato per legge;

- ricorrente -

contro

T.P.; PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE D'APPELLO DI TRENTO - SEZIONE DISTACCATA DI BOLZANO;

- intimati -

avverso l'ordinanza della Corte d'appello di Trento - Sezione distaccata di Bolzano depositata il 12 ottobre 2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22 gennaio 2008 dal Consigliere relatore Dott. Stefano Petitti;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SCHIAVON Giovanni, che ha concluso per l'accoglimento del primo motivo del ricorso, assorbiti gli altri.

Svolgimento del processo

Con ricorso exart. 737 c.p.c. e ss., T.P., nata a (OMISSIS) da genitori tibetani, adiva il Tribunale di Bolzano per ottenere il riconoscimento dello stato di apolide. Il ricorso veniva accolto dal Tribunale con decreto avverso il quale il Ministero dell'Interno proponeva reclamo dinnanzi alla Corte d'appello di Trento - Sezione distaccata di Bolzano, deducendo: la nullità della notifica del ricorso introduttivo del giudizio e per l'effetto, dell'intero giudizio, essendo il ricorso stato notificato direttamente presso il Ministero dell'Interno anzichè presso l'Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege delle amministrazioni dello Stato; l'irritualità del ricorso, in quanto proposto nelle forme del giudizio di volontaria giurisdizione anzichè secondo il rito ordinario; la violazionedell'art. 82 c.p.c. , per essere la ricorrente stata in giudizio personalmente anzichè con il ministero di un difensore; l'incompetenza territoriale del Tribunale di Bolzano, essendo competente il Tribunale di Trento, secondo la regola di cuiall'art. 25 c.p.c. , ovvero il Tribunale di Roma, in quanto foro del convenuto, exart. 18 c.p.c.. Nel merito, l'Amministrazione reclamante contestava la fondatezza del decreto impugnato, ricognitivo dello status di apolide, atteso che la ricorrente, essendo nata in India, doveva essere considerata cittadina indiana.

L'adita Corte d'appello, con ordinanza depositata in data 12 ottobre 2006, rigettava il reclamo.

Quanto ai profili preliminari, la Corte rilevava che la lettura congiunta dell'art. 742 bis c.p.c., che menziona genericamente le questioni di stato, dell'art. 8 della dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, che assicura ad ogni individuo il diritto ad un'effettiva possibilità di ricorso a competenti tribunali nazionali contro atti che violino i diritti fondamentali riconosciuti dalla costituzione o dalla legge, e dell'art. 15, della medesima dichiarazione, in tema di cittadinanza, doveva indurre a ritenere che alla T. - la quale ha chiesto che venga riconosciuto il suo stato di apolidia - non poteva essere imposto l'onere di proporre la propria domanda solo attraverso il patrocinio di un difensore, nè poteva esserle fatto carico di non avere individuato l'esatto domicilio legale dell'amministrazione controinteressata. Infatti, l'ordinamento considera una tale notificazione irregolare e non inesistente, e in atti vi era la prova di un'effettiva conoscenza della domanda da parte dei funzionari dell'amministrazione. E, del resto, il porre a carico della parte l'osservanza di regole processuali e sostanziali non chiare neanche per la stessa amministrazione reclamante equivarrebbe a negare alla parte stessa la possibilità di un effettivo ricorso a competenti tribunali nazionali per ottenere il riconoscimento del proprio diritto fondamentale, in dispregio al citato art. 8 della Dichiarazione dei diritti dell'uomo.

La Corte riteneva poi corretto il rito scelto dalla T., alla quale doveva riconoscersi la possibilità di rivolgersi personalmente all'autorità giudiziaria, ed efficacemente evocata in giudizio l'amministrazione, che aveva avuto contezza del procedimento.

Nel merito, la Corte, ricordate le norme della Convenzione di New York del 28 settembre 1954 e quelle esistenti in India sulla cittadinanza, rilevava che la T. non si trovava nelle condizioni per essere automaticamente riconosciuta come cittadina indiana per nascita; ella si trovava invece nelle condizioni per poter richiedere la cittadinanza indiana, ove lo avesse desiderato. Ma tale condizione non precludeva la possibilità di accertare il suo diritto, secondo la legge italiana, a vedersi riconoscere lo status di apolide. In proposito, la Corte d'appello rilevava che “il Governo indiano permette ai tibetani di vivere in India e riconoscersi ancora come Tibetani, soggetti alla autorità amministrativa del Dalai Lama, ed ai Tibetani è riconosciuta autorità in tema di sanità, istruzione e anagrafe. Quindi, esiste uno status di cittadino tibetano, ancorchè privo di diritti politici nel paese che li ospita (India) distinto dalla cittadinanza indiana, che non interferisce con il poter vivere in India, lavorare e possedere beni. Costoro dall'India sono considerati come apolidi, non essendo la cittadinanza tibetana allo stato riconosciuta in alcun modo per il diritto internazionale”. E poichè questa è “una corretta applicazione della legge del paese, che non pare determinata da intenti discriminatori (ai cittadini indiani viene richiesto un giuramento di fedeltà, che quindi viene risparmiato ai rifugiati tibetani), tale applicazione deve essere considerata vincolante per lo Stato Italiano”.

La Corte territoriale osservava quindi che la scelta della ricorrente di non diventare cittadina indiana e di chiedere il riconoscimento dello status di apolide in Italia doveva essere pertanto ritenuta fondata. Nel caso della cittadinanza tibetana, non riconosciuta a livello internazionale e riconosciuta a limitati fini dal Governo Indiano, dichiararsi apolide equivale a riconoscersi nel governo, attualmente in esilio, del Dalai Lama, ed è l'unica scelta per i tibetani di continuare a riconoscersi tali e fedeli a quel governo. “L'esistenza di una enclave riconosciuta a livello civile da un governo, anche se priva di rappresentanza internazionale - enclave che gestisce oltre che un sistema di istruzione e di sanità, anche un'anagrafe con valore legale -, rende lo status di tibetani in India qualcosa di più definito e anche controllabile rispetto ad altre situazioni di apolidia, e molto vicino ad una identità forte analogo ad una cittadinanza”. Sicchè, non essendo stati evidenziati motivi di ordine pubblico o penale tali da imporre il rigetto della richiesta secondo la convenzione di New York, la Corte d'appello respingeva il reclamo.

Per la cassazione di questo provvedimento ricorre il Ministero dell'Interno sulla base di sei motivi; non ha svolto attività difensiva l'intimata.

Motivi della decisione

Con il primo motivo, l'amministrazione ricorrente deduce violazione e falsa applicazione delR.D. n. 1611 del 1933,art.11in relazioneall'art. 101 c.p.c.. In sede di reclamo era stata dedotta la nullità del decreto del Tribunale di Bolzano per nullità della notifica dell'atto introduttivo e quindi per violazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa, perchè detto decreto era stato pronunciato senza che l'atto introduttivo fosse stato notificato ritualmente al Ministero, pure considerato controparte dal primo giudice. IlR.D. n. 1611 del 1933,art.11, impone infatti che tutte le citazioni, i ricorsi e qualsiasi atto di opposizione giudiziale devono essere notificati, a pena di nullità da pronunciarsi d'ufficio, alle Amministrazioni dello Stato presso l'ufficio dell'Avvocatura dello Stato nel cui distretto ha sede l'autorità giudiziaria innanzi alla quale è portata la causa, nella persona del Ministro competente. E' vero che tale nullità può essere sanata, ma, nella specie, ciò non era avvenuto, non essendosi l'amministrazione costituita dinnanzi al Tribunale. Nè la controversia proposta nei confronti del Ministero dell'Interno rientrava tra quelle per le quali è possibile, eccezionalmente, derogare alla regola indicata, nei quali l'amministrazione può stare in giudizio personalmente. E neanche poteva ritenersi che il particolare procedimento prescelto dalla ricorrente potesse comportare quella deroga, in quanto lo stesso tribunale aveva individuato il Ministero dell'Interno come controparte cui notificare il ricorso, riconoscendo il carattere contenzioso del procedimento.

Secondo la ricorrente avrebbe quindi errato la Corte d'appello nell'affermare che non poteva essere posta a carico della T. l'erronea individuazione del giusto domicilio legale dell'amministrazione controinteressata e nel ritenere che la notifica fatta all'amministrazione presso la sua sede anzichè presso l'Avvocatura dello Stato fosse irregolare e non inesistente. Si trattava in realtà di notificazione nulla, suscettibile di rinnovazione, nella specie non disposta. Del tutto ininfluente, infine, doveva considerarsi l'osservazione della Corte d'appello secondo cui vi era in atti la prova dell'effettiva conoscenza della domanda della T. da parte dei funzionari, poichè la conoscenza aliunde acquisita dai funzionari non può considerarsi equivalente alla costituzione in giudizio con effetto sanante. Il motivo si conclude con la formulazione del seguente quesito di diritto: “Se l'atto introduttivo di un procedimento camerale exart. 737 c.p.c. , volto al riconoscimento dello status di apolide, dev'essere notificato al Ministero dell'Interno nel domicilio legale stabilitoR.D. n. 1611 del 1933, ex art. 11, comma 1, negli uffici della competente Avvocatura distrettuale dello Stato, e se la mancata notificazione in tali forme, non sanata dalla costituzione del ministero medesimo, comporta la nullità/inesistenza della decisione nel merito pronunciata dal Tribunale senza previamente rilevare d'ufficio l'irregolarità della notificazione, ai sensidell'art. 101 c.p.c. ”.

Con il secondo motivo, il Ministero deduce violazione e falsa applicazionedell'art. 82 c.p.c. , per avere la istante agito personalmente e non con il ministero di un difensore, con conseguente nullità del ricorso. Una deroga all'obbligo di cui al citato art. 82 non poteva desumersi dall'avere la parte optato per il rito camerale, giacchè nessuna disposizione deroga in via generale all'obbligo del difensore consentendo alla parte, in tali procedimenti, di stare in giudizio personalmente, essendo, al contrario, le deroghe espressamente previste. Il Ministero formula quindi il seguente quesito di diritto: “Se anche l'atto introduttivo di un procedimento camerale exart. 737 c.p.c. , volto al riconoscimento dello status di apolide, dev'essere proposto nel rispetto nel rispettodell'art. 82 c.p.c. , e, quindi, con l'obbligatorio ministero di un difensore tecnico, e se il ricorso presentato personalmente, senza il ministero di un difensore, è nullo o inammissibile e se, pertanto, la decisione di merito assunta dal tribunale senza avere rilevato tale nullità o inammissibilità, è a sua volta viziata da nullità”.

Con il terzo motivo, l'amministrazione denuncia violazione e falsa applicazionedell'art. 737 c.p.c. e ss., art. e 163 c.p.c.. In sede di reclamo era stata eccepita la nullità e/o l'inammissibilità del ricorso per avere la ricorrente fatto ricorso alla procedura camerale, dovendo invece trovare applicazione il rito contenzioso ordinario da decidere con sentenza. E, sul punto, la Corte d'appello si è limitata a ritenere applicabile il rito camerale senza motivare in alcun modo le ragioni di tale decisione. Il Ministero formula il seguente quesito di diritto: “Se la domanda volta al riconoscimento dello status di apolide, dev'essere introdotta e giudicata nelle forme del rito contenzioso ordinario secondo le disposizioni di cuiall'art. 163 c.p.c. e segg., e se pertanto - non rientrando la materia relativa all'apolidia e alla cittadinanza nelle materie di cui agliart. 706 c.p.c. e segg. - è inammissibile la domanda introdotta e giudicata nelle forme del giudizio camerale di cuiall'art. 737 c.p.c. e segg., e se, di conseguenza, la decisione di merito assunta dal Tribunale senza aver rilevato tale nullità o inammissibilità, è a sua volta viziata da nullità”.

Con il quarto motivo, il Ministero deduce violazione e falsa applicazionedell'art. 112 c.p.c. , degli artt. 18, 19 e dell'art. 25 c.p.c., in relazione alR.D. n. 1611 del 1933,artt.6,7e9. Si censura l'omessa pronuncia sulla eccezione di incompetenza territoriale formulata in sede di reclamo, deducendosi la competenza del Tribunale di Roma o del Tribunale di Trento, ai sensi, rispettivamente, degliartt. 18 e 18, e 25 c.p.c. , non essendo previste deroghe alla competenza del foro erariale in caso di controversie attinenti alla cittadinanza. Il Ministero formula il seguente quesito: “Se costituisce violazionedell'art. 112 c.p.c. , la omessa pronuncia della Corte d'appello adita in sede di reclamo exart. 739 c.p.c. , sull'eccezione di incompetenza territoriale - funzionaleR.D. n. 1611 del 1933, ex art. 6 espressamente formulata nel reclamo stesso, e se la cognizione della domanda volta al riconoscimento dello status di apolide proposta dinanzi al Tribunale di Bolzano nei confronti del Ministero dell'Interno, anche se presentata nelle forme del giudizio camerale di cuiall'art. 737 c.p.c. e segg., è devoluta, sempre ai sensi delR.D. n. 1611 del 1933,art.6, al Tribunale di Roma o, in subordine, al Tribunale di Trento”.

Con il quinto motivo, il Ministero dell'Interno denuncia violazione e falsa applicazione degliartt. 101, 112 e 115 c.p.c. , in relazione agliartt. 24 e 111 Cost.. La censura si riferisce al fatto che la Corte d'appello ha posto a fondamento della propria decisione documentazione in lingua inglese acquisita d'ufficio, attraverso lo strumento di internet, in via del tutto unilaterale e senza sottoporla all'esame della discussione delle parti. In proposito, l'amministrazione formula il seguente quesito: “Se costituisce violazione del contraddittorio, e lesione del diritto di difesa, in contrasto con i principi giuridici ricavabili dagliart. 24 e 111 Cost. , e dagliartt. 101, 112 e 115 c.p.c. , l'avere la Corte d'appello acquisito, e posto a fondamento della sua decisione di merito, documentazione direttamente prelevata da internet, e non dimessa nè citata da alcuna delle parti, senza avere interpellato le parti medesime e senza avere sottoposto al loro esame ed al contraddittorio tale documentazione e, di conseguenza, se la decisione di merito assunta alla Corte d'appello sul decisivo rilievo di tale documentazione è viziata di nullità”.

Con l'ultimo motivo, l'amministrazione ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dellaL. n. 306 del 1962, di ratifica del c.d. statuto degli apolidi e in particolare dell'art. 1 della convenzione di New York. La Corte d'appello ha ritenuto sussistente la condizione di apolidia in base ad elementi non sufficientemente probanti. In particolare, non ha valutato se, in base alla L. n. 57 del 1955, della Repubblica indiana, la T. non poteva essere ritenuta cittadina indiana, essendo ella nata nel (OMISSIS) e prevedendo la citata legge che è cittadino indiano per nascita chi è nato in India tra il (OMISSIS) e il (OMISSIS). Anzi, la Corte, ritenendo che tale legge richiederebbe una specifica domanda di riconoscimento della cittadinanza e ritenendo che la T. non ha mai presentato siffatta domanda perchè aspira al riconoscimento della sua nazionalità (e, in prospettiva, cittadinanza) tibetana, avrebbe configurato nella sostanza un diritto potestativo ad essere apolide piuttosto che cittadino di uno Stato che pure gli riconosce, in base alla propria legge, la cittadinanza. Il quesito posto a conclusione del motivo è il seguente: “Se alla luce dell'articolo 1 della Convenzione di New York sullo statuto degli apolidi, ratificata conL. n. 306 del 1962, lo status di apolide può essere riconosciuto ad un soggetto cui la legge dello Stato estero in cui è nato, e che gli ha rilasciato apposito documento di identità, riconosce la cittadinanza in base alla nascita stessa (ius soli) - nel caso di specie a persona nata in india tra il (OMISSIS) e il (OMISSIS), in base alla legge indiana sulla cittadinanza n. 57 del 30.12.1955, art. 3 - qualora tale soggetto non abbia fatto o volontariamente non intenda fare domanda di attribuzione di tale cittadinanza”.

Il primo motivo di ricorso è fondato.

Secondo quanto stabiliscel'art. 144 c.p.c. , comma 1, "Per le Amministrazioni dello Stato si osservano le disposizioni delle leggi speciali che prescrivono la notificazione presso gli uffici dell'Avvocatura dello Stato". Il contenuto di questa norma va, pertanto, integrato con il R.D. 30 ottobre 1933, n. 611, art. 11, come modificato dallaL. 25 marzo 1958, n. 260,art.1, il quale dispone, al comma 1, che "tutte le citazioni, i ricorsi e qualsiasi atto di opposizione giudiziale...devono essere notificati alle Amministrazioni dello Stato presso l'ufficio dell'Avvocatura dello Stato nel cui distretto ha sede l'autorità giudiziaria dinanzi alla quale è portata la causa, nella persona del Ministro competente", e, al comma 2, che "ogni altro atto giudiziale e le sentenze devono essere notificati presso l'ufficio dell'Avvocatura dello Stato nel cui distretto ha sede l'autorità giudiziaria presso cui pende la causa o che ha pronunciato la sentenza".

Questa Corte, nella sentenza n. 7315 del 2004, ha osservato che, con riferimento alle notificazioni di atti preordinati alla introduzione di un giudizio, l'art. 11, comma, 1 utilizza espressioni di contenuto inequivoco, tali da far intendere che nelle ipotesi considerate la disciplina da esso posta è la sola applicabile. Del resto, la regola della notificazione degli atti giudiziali presso l'Avvocatura dello Stato è stata riaffermata, dopo l'emanazione del vigente codice di rito, dallaL. n. 260 del 1958,art.1, mentre ad essa è possibile derogare, con applicazione della regola di cuiall'art. 144 c.p.c. , comma 2, (notifica diretta all'amministrazione dello Stato destinataria, a chi la rappresenta nel luogo in cui risiede il giudice davanti al quale si procede) solo in ipotesi particolari, nelle quali risulti che si sia inteso derogare alla "regola" posta dall'art. 11 (in tal senso, riguardo ai giudizi di opposizione ad ordinanza ingiunzione, di cui allaL. n. 689 del 1981, Cass.., n. 1334 del 1998; Cass., n. 14279 del 2007).

Si deve, quindi, affermare il seguente principio di diritto: “la notificazione dell'atto introduttivo di un giudizio eseguita direttamente all'Amministrazione dello Stato e non presso l'Avvocatura distrettuale dello Stato, nei casi nei quali non si applica la deroga alla regola di cui alR.D. n. 1611 del 1933,art.11, non può ritenersi affetta da mera irregolarità, ma, secondo quanto espressamente previsto da tale disposizione, da nullità e non anche da inesistenza. Essa è quindi suscettibile di rinnovazione ai sensidell'art. 291 c.p.c. , ovvero di sanatoria nel caso in cui l'Amministrazione si costituisca”.

Nel caso di specie, il ricorso introduttivo del presente giudizio è stato notificato al Ministero dell'Interno, non presso l'Avvocatura distrettuale dello Stato, ma direttamente all'amministrazione, indicata nel decreto di fissazione dell'udienza come contraddit-tore. Il Tribunale, quindi, avrebbe dovuto rilevare tale nullità e disporre la rinnovazione della notificazione. Non essendo ciò avvenuto, la Corte d'appello, in presenza di uno specifico motivo di gravame sul punto, avrebbe dovuto dichiarare la nullità della notificazione e, conseguentemente, dell'ordinanza emessa dal Tribunale di Bolzano, disponendo il rinvio a tale giudice ai sensidell'art. 354 c.p.c. , comma 1.

La Corte d'appello, qualificando la nullità della notificazione come mera irregolarità, ha quindi violato le disposizioni indicate nella rubrica del motivo in esame. L'ordinanza impugnata è quindi affetta da nullità e va cassata.

L'accoglimento del primo motivo di ricorso determina l'assorbimento degli altri, dovendo al loro esame procedere il giudice del rinvio, che viene individuato nel Tribunale di Bolzano, il quale provvedere a disporre la rinnovazione della notificazione dell'atto introduttivo al Ministero dell'Interno, presso l'Avvocatura distrettuale dello Stato.

Al giudice del rinvio è demandato il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri; cassa il provvedimento impugnato e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, al Tribunale di Bolzano in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 22 gennaio 2008.

Depositato in Cancelleria il 27 febbraio 2008