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Giurisprudenza italiana

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Cass. civ. Sez. I, Sent., 08/11/2013, n. 25212

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME' Giuseppe - Presidente -

Dott. DOGLIOTTI Massimo - Consigliere -

Dott. DIDONE Antonio - Consigliere -

Dott. BISOGNI Giacinto - Consigliere -

Dott. ACIERNO Maria - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 26539/2011 proposto da:

MINISTERO DELL'INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

- ricorrente -

contro

P.L.L.J.;

- intimato -

avverso la sentenza n. 685/2011 della CORTE D'APPELLO di FIRENZE, depositata il 06/05/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/06/2013 dal Consigliere Dott. MARIA ACIERNO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso in ragione della sentenza n. 7614/2011.

Svolgimento del processo - Motivi della decisione

Con la sentenza impugnata la Corte d'Appello di Firenze, confermando la pronuncia del Tribunale di Pistoia, ha dichiarato che al cittadino cubano P.L.J. poteva essere riconosciuta la condizione di apolide. A sostegno della decisione veniva affermato che:

- correttamente era stato applicato il rito camerale dal giudice di primo grado;

- sussisteva l'interesse ad agire del richiedente in quanto il D.P.R. n. 572 del 1993, art. 17, non doveva essere interpretato nel senso della necessità di richiedere pregiudizialmente la certificazione amministrativa da parte del Ministero dell'Interno sulla condizione di apolidia, avendo le Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 28873 del 2008 affermato la sussistenza di una doppia strada, quella amministrativa e quella giurisdizionale per conseguire l'accertamento dello stato di apolidia;

- nel merito, il richiedente, a causa dell'assenza dal proprio paese di origine per un periodo superiore agli undici mesi, pur non avendo perso formalmente la cittadinanza cubana, era stato posto dalla disciplina normativa di questo Stato in una condizione del tutto equiparabile a quella della perdita della cittadinanza, essendo stato privato del diritto di residenza, dei beni immobili e di qualsiasi forma di reddito, ed avendo formalmente acquisito la condizione di emigrante.

- Ne conseguiva la riconducibilità alla condizione di apolidia così come riconosciuta dalla Convenzione di New York del 28 settembre 1954.

Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il Ministero dell'Interno, affidandosi a due motivi.

Nel primo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 737 e 742 bis c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c. , n. 4, per avere la Corte d'Appello ritenuto applicabile al giudizio in tema di riconoscimento della condizione di apolidia il rito camerale. Precisa al riguardo la parte ricorrente che una recente pronuncia, la Corte di cassazione (sent. n. 7614 del 2011) ha stabilito l'applicabilità del rito ordinario, trattandosi di controversia relativa al riconoscimento di status e dovendo il procedimento camerale essere adottato solo se esplicitamente previsto dalla norma o se giustificato dall'interesse pubblico ad una celere definizione. Conclude il ricorrente che non rileva la mancata indicazione di un vulnus difensivo specifico in presenza della violazione di una norma di ordine pubblico processuale.

Il motivo deve essere rigettato non essendo stata nè dedotta nè allegata alcuna effettiva limitazione della garanzia difensiva, nè compressione di termini per l'esercizio del diritto al contraddittorio, ed essendosi il giudizio concluso con il modulo decisionale della sentenza, ovvero nella forma più completa e garantista anche con riferimento ai poteri d'impugnazione. Al riguardo è consolidato l'orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo il quale "l'adozione del rito camerale non induce alcuna nullità, per il principio della conversione degli atti nulli che abbiano raggiunto il loro scopo, quando non ne sia derivato un concreto pregiudizio per alcuna delle parti, relativamente al rispetto del contraddittorio, all'acquisizione delle prove e, più in generale, a quanto possa avere impedito o anche soltanto ridotto la libertà di difesa consentita nel giudizio ordinario; (Cass. 18201 del 2006;13639 del 2013)".

Nel secondo motivo viene dedotta la violazione dell'art. 1 della Convenzione di New York del 28/9/1954 ratificata dalla L. n. 306 del 1962 , in relazione all'art. 360 c.p.c. , n. 3, per non avere la Corte d'Appello considerato che, secondo la predetta Convenzione, è apolide colui che nessuno Stato considera cittadino. Nella specie il richiedente non era stato privato della cittadinanza cubana ma aveva soltanto acquisito lo status di emigrante, potendo, in presenza delle condizioni di legge, richiedere il riconoscimento dello status di rifugiato o invocare l'asilo politico. La perdita della residenza, in conclusione, non può essere equiparata alla perdita della cittadinanza.

La convenzione di New York del 28/9/1954, ratificata in Italia con la L. n. 306 del 1962 , stabilisce all'art. 1 che è apolide "une personne quaucun Etat ne considere corame son ressortissant par application de sa legislation". Le Sezioni Unite di questa Corte, nella pronuncia n. 28873 del 2008 con la quale hanno affermato la giurisdizione del giudice ordinario in tema di riconoscimento dello status di apolide e qualificato la posizione giuridica dello straniero come di diritto civile o politico, hanno individuato, sulla base della definizione convenzionale la seguente nozione di apolidia "è apolide colui che si trova in un paese di cui non è cittadino provenendo da altro paese del quale ha perso formalmente o sostanzialmente la cittadinanza", sottolineando l'estensione dell'accertamento non soltanto alla mancanza delle condizioni formali per l'accertamento del possesso della cittadinanza nel paese di provenienza (o quello con il quale il cittadino straniero ha avuto un legame giuridicamente rilevante), ma anche a quelle sostanziali.

Tali condizioni devono essere accertate alla stregua delle norme applicabili in quello o in quegli stati con i quali risulti accertato un collegamento effettivo.

Per quanto riguarda lo stato cubano il parametro normativo applicabile, al momento della decisione impugnata era quello della la "ley de migration" n. 1312 del 1976. Alla luce di tale disciplina normativa, e delle incontestate affermazioni delle parti nel corso del giudizio di merito, il cittadino cubano che si recava all'estero, dopo undici mesi consecutivi di assenza da Cuba era considerato emigrante. Tale qualificazione determinava una radicale contrazione dei diritti, attinenti alla sfera privata e pubblica, all'interno del territorio cubano. In particolare, esso veniva privato del diritto di residenza, tanto da dover richiedere un visto d'ingresso per il rientro rimesso alla discrezionalità dell'autorità cubana oltre che di diritti immobiliari ed ereditari. Nella specie tali conseguenze, previste dalla legge, sono state specificamente applicate al signor P.L., intimato nel presente giudizio. Egli ha infatti ricevuto una missiva dell'Ambasciata cubana a Roma de 14/11/2008 con la quale gli è stato comunicato di aver acquisito lo status di emigrante, con conseguente perdita del diritto di residenza e possibilità di soggiorno temporaneo nell'isola di Cuba, per soli due mesi, oltre alla perdita dei diritti immobiliari e di reddito (sentenza impugnata pag. 1). La condizione del ricorrente, risulta, pertanto, come correttamente sostenuto dalla Corte d'Appello di Firenze, equiparabile a quella dell'apolide, in quanto, alla luce della normativa applicata egli risulta impedito della possibilità di riacquistare i diritti che costituiscono il nucleo ineludibile della cittadinanza (diritto e libertà di soggiorno illimitati nel rispetto delle leggi interne, titolarità ed esercizio dei diritti civili e politici) nell'ipotesi di rientro a Cuba, peraltro possibile soltanto in via temporanea. Egli, secondo la ley migratoria del 1976, può avere ingresso nell'isola solo per due mesi come emigrante con conseguente privazione di tutti i diritti goduti in precedenza da cittadino. L'espressione sintetica "perdita della residenza" coincide, pertanto, sul piano dell'effettività, così come richiesto anche nella citata pronuncia delle sezioni Unite n. 28873 del 2008, con la perdita della cittadinanza, non potendo fondarsi il rigetto della domanda relativo al riconoscimento dell'apolidia, su una distinzione meramente nominalistica e formale, senza verificare in concreto, non solo l'impossibilità di tornare a soggiornare stabilmente nel paese di origine ma anche quella di essere riconosciuto dalle autorità statali come soggetto di diritti esercitabili nei confronti dei pubblici poteri (diritti politici) e nei rapporti con gli altri soggetti (diritti attinenti alla propria sfera giuridico economica).

Non può, infine, condividersi, l'affermazione contenuta nel ricorso secondo la quale il ricorrente a fronte della risposta dell'ambasciata Cubana, ove si fosse sentito perseguitato, avrebbe dovuto formulare domanda di asilo, dal momento che la condizione descritta dal cittadino cubano è il frutto dell'applicazione di una legge generalmente applicabile a chiunque si allontani in certe condizioni dall'isola di Cuba anche del tutto volontariamente, non per sfuggire a persecuzioni o trattamenti discriminatori. In conclusione il ricorso deve essere rigettato.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 19 giugno 2013.

Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2013